Avete presente la vexata quaestio dell’invisibilità del traduttore, dell’invisibilità brutta del traduttore per la precisione, ovvero della presunta incapacità del mondo di riconoscere l’importanza del nostro mestiere? Ecco, è una cosa che qui a doppioverso ci sta molto a cuore, perché per quanto non ci dispiaccia lavorare spesso dietro le quinte ci rendiamo conto che un concreto miglioramento delle condizioni professionali dell’intera categoria passa anche attraverso la visibilità, soprattutto quella determinata dai lettori.
A doppioverso siamo però anche votate all’ottimismo, e ci piace pensare che lentamente, molto lentamente, i lettori cominciano ad accorgersi dei traduttori, e le traduzioni diventano oggetto di minuziosa analisi tanto quanto l’originale che (alcune bene, altre meno) veicolano.
È un processo indolore? Sempre portato avanti nel modo giusto? È in ogni caso una fortuna? Per rispondere a queste domande vi rimandiamo ad alcuni post usciti di recente dalle penne (virtuali) di ottime colleghe traduttrici editoriali (qui e qui, ad esempio); qui noi ci limiteremo a elencare i sei libri usciti nel 2016 (o giù di lì) che abbiamo messo nella nostra wishlist e che vorremmo leggere solo ed esclusivamente in virtù della loro traduzione.
In fondo, anche noi siamo prima di tutto lettori, giusto? E se i lettori iniziano a occuparsi di traduzioni, a maggior ragione è il caso che se ne occupino i lettori-traduttori. Grazie quindi ai colleghi che hanno portato questi sei volumi sulle nostre scrivanie, e a tutti quelli che fanno altrettanto ogni giorno e che non sono approdati in questo post. Buon lavoro a tutti!
Le ragazze di Emma Cline, tradotto da Martina Testa per Einaudi
Uno dei casi letterari dell’ultimo periodo abbinato a una traduttrice, la Testa, che forse prima di ogni altra ha fatto uscire la nostra professione dall’anonimato e dall’invisibilità, arrivando a configurarsi come una vera e propria icona della piccola e media editoria indipendente. Di fatto, sia la Cline che Martina sono due ragazze prodigio: la prima autrice a soli ventiquattro anni di un libro considerato un capolavoro, la seconda, nei primi anni 2000, quando le sottoscritte si avvicinavano al mestiere di traduttrici mantenendo però al contempo come occupazione principale le sbronze nei pub di San Lorenzo a Roma, era la giovanissima voce italiana di autori del calibro di David Foster Wallace, Jonathan Lethem, Cormac McCarthy. L’accoppiata tra le due è, a nostro avviso, imperdibile.
Fine Turno di Stephen King, tradotto da Giovanni Arduino per Sperling & Kupfer
Il re è tornato, lunga vita al re!
Stephen King è un autore amatissimo (qui a doppioverso soprattutto da Barbara) che ha rivoluzionato il modo di vedere i libri “di genere” e ha reinventato la lingua del romanzo popolare. Una sfida non da poco per i suoi traduttori, che negli anni si sono sentiti criticare minuziosamente ogni singola virgola da fan un tantino puntigliosi (forse King è stato il primo autore i cui ammiratori facevano le pulci al traduttore anche quando dei traduttori non si occupava nessuno). Per chi conosce King, decidere qual è il traduttore preferito è questione più di pancia che di testa: lo storico Tullio Dobner, con i suoi innumerevoli “fottuto”, autore però delle versioni italiane dei capolavori degli anni Ottanta? Wu Ming, che con Notte buia, niente stelle e 22/’11/63 ci ha restituito un King meno sciatto, più maturo e consapevole (per qualcuno anche troppo)? O Giovanni Arduino, che ha raccolto il testimone di Dobner e dopo la ritraduzione di On Writing per Frassinelli ha sperimentato in prima persona le critiche che travolgono chi tocca un mostro sacro? A noi, a modo loro, piacciono tutti e tre; e per toglierci ogni dubbio, leggeremo anche quest’ultimo romanzo (per completezza filologica, ovvio).
L’una e l’altra di Ali Smith, tradotto da Federica Aceto per SUR
Non ne abbiamo mai fatto mistero: Federica Aceto è una delle nostre traduttrici preferite, forse perché lavorando nella sua stessa combinazione linguistica possiamo apprezzarne fino in fondo la bravura per certi versi istintiva e stregonesca, unita a una disarmante lucidità di analisi che emerge da ogni post che pubblica sul suo blog. In quanto romanzo che affronta i temi dell’identità e della finzione, L’una e l’altra è inoltre una perfetta metafora anche del processo traduttivo: “una traduzione è l’originale e al tempo stesso non lo è. È l’una e l’altra cosa e nessuna delle due”, come osserva la stessa Federica nell’intervista fatta alla sua autrice per il blog di edizioni Sur.
La casa della gioia di Edith Wharton, tradotto da Gaja Cenciarelli per Neri Pozza
La Wharton è da sempre una delle nostre scrittrici del cuore, qui a doppioverso. Barbara ama soprattutto le atmosfere impeccabilmente delineate delle sue ghost stories, Chiara considera L’età dell’innocenza uno dei libri che le hanno cambiato la vita. In generale adoriamo il suo stile personalissimo, di una puntualità quasi sovrannaturale, le sue scelte linguistiche cesellate, l’abilità nel delineare figure femminili indimenticabili, incastonate nel ritratto di un’epoca – fine Ottocento, inizio Novecento – lontanissima a livello temporale ma modernissima e molto vicina a noi per sentimenti e aspirazioni. A incuriosirci, di questo titolo, è proprio il fatto che per ritradurlo in italiano sia stata scelta Gaja Cenciarelli, che è una valente traduttrice ma anche – soprattutto – un’ottima scrittrice: anche lei, come la Wharton, vanta uno stile peculiare e originalissimo, nel suo caso accompagnato da una verve dirompente più che da misurata sobrietà. Siamo sicure che non sia stato facile per Gaja domare se stessa, ma siamo anche certe che ce l’abbia fatta, regalando alla “nostra” autrice una voce mai avuta prima.
Anna Karenina di Lev Tolstoj, tradotto da Claudia Zonghetti per Einaudi
Anna Karenina è uno dei capolavori immortali del Diciannovesimo secolo, con uno degli incipit più inconfondibili della storia della letteratura; affrontarlo di nuovo, nel 2016, deve essere stata un’impresa da far tremare le vene e i polsi.
Ci piacerebbe leggere la versione di Claudia soprattutto perché se ne è molto parlato; ne ha parlato Claudia stessa, in vari articoli e post (anche per noi di doppioverso!), spiegando come abbia tentato di avvicinarsi, per approssimazioni progressive e consapevoli, all’originale tolstojano.
Ma ne hanno parlato anche altri, lettori, critici, a volte bene a volte meno. La cosa più bella secondo noi l’ha scritta Maria Candida Ghidini nella sua recensione ospitata sull’Indice dei libri di ottobre: “Claudia Zonghetti ha (…) tradotto non semplicemente una storia d’amore (…) o le grandi questioni della vita e della morte (…). Ha tradotto un compatto flusso narrativo. Si è immersa nel labirinto e ne ha proposta la sua personale versione, rendendone l’insieme di nessi, auscultando il profondo pulsare delle sue leggi, per poi rendercelo in un italiano saporito, stratificato ed elegante.”
Harry Potter e la maledizione dell’erede a cura di Luigi Spagnol per Salani
Ogni fan di Harry Potter conosce la storia travagliata delle sue traduzioni e ritraduzioni: dettagli che nel primo libro della saga sembravano insignificanti e che poi nel settimo trovano un senso, nomi parlanti più o meno azzeccati, professori che cambiano cognome da un’edizione all’altra. Qui a doppioverso siamo convinti che i traduttori di Salani abbiano superato con successo una sfida difficilissima, ma una saga, appunto, è una saga, e le magagne traduttive posso uscire fuori anche in corsa. Oggi J.K. Rowling torna in libreria con una nuova avventura del suo Harry, ambientata 19 anni dopo i fatti narrati nei Doni della morte. Per di più il nuovo libro non è un romanzo, ma un testo teatrale: sarà per questo che per tradurre La maledizione dell’erede si è scomodato stavolta niente meno che Luigi Spagnol, presidente della Salani e già traduttore, nel 2008, delle Fiabe di Beda il Bardo? Chissà, noi nel dubbio non vediamo l’ora di leggerlo.