La vita, si sa, ci insegna sempre qualche lezione. La vita da traduttori editoriali a maggior ragione. E se si volesse assegnare il podio alla più importante, almeno per me sarebbe questa: le traduzioni editoriali non sono tutte uguali. E la traduzione di saggistica non è traduzione, è una caccia al tesoro organizzata da un sadico con l’Asperger.
Quando traduco saggistica, come mi sta capitando in questo periodo, la cosa che più mi pesa, che mi toglie il sonno e a fronte della quale preferirei passare le mie giornate a prendere a capocciate uno spigolo, è la stesura delle note bibliografiche. Tutti, o quasi, abbiamo vissuto lo psicodramma delle note ai tempi in cui scrivevamo la tesi di laurea; io all’epoca mi ero quasi decisa a chiedere il cambio di residenza per trasferirmi in pianta stabile alla Biblioteca Nazionale di Castro Pretorio, a Roma, che con le sue vetrate e panchine gelide ancora oggi a distanza di quindici anni popola i miei incubi.
L’incubo infinito delle note bibliografiche
Per il traduttore di saggistica, però, quello delle note è uno scoglio, un iceberg, che può assumere dimensioni mastodontiche e spaventose, perché non sei tu – come nel caso della tesi – a individuare e classificare le fonti da citare, ma un altro autore che ha lavorato e fatto ricerche su testi in un’altra lingua.
E di quei testi vanno puntualmente riportati tutti i dati, anche quelli che sono, immancabilmente, lacunosi: nell’inglese, per esempio, di solito la casa editrice non viene indicata, e a noi tocca l’onere di scovarla e aggiungerla in nota. Se, Dio non voglia, ci sono delle traslitterazioni da altre lingue, per esempio il russo, ogni nome di autore e titolo di libro, periodico o vattelapesca dev’essere traslitterato secondo le regole in vigore nel Paese di pubblicazione citato.
E poi c’è la rogna massima, quella su cui sto talmente impazzendo io che oggi per non finire in una comunità di recupero ho deciso di mettere in stand-by il lavoro e scrivere questo post: di ogni libro citato bisogna verificare se esiste un’edizione italiana e, se malauguratamente esiste, citare in nota solo quella ricostruendo le pagine in cui sono presenti i passaggi corrispondenti a quelli indicati nelle note dell’originale (che eventualmente vanno riportati pari pari, è imperativo per una questione di diritti d’autore). E attenzione: ciò va fatto per quanto possibile anche se l’autore non fa menzione del libro da cui ha tratto una citazione, ma si sa o si presume che ne esista una traduzione italiana (ma qui sforiamo proprio nel campo “rabdomante culturale”, quello dei rimandi, che meriterebbe un post a parte).
Bones una di noi
Nella migliore delle ipotesi siamo cani da tartufo. Nella peggiore, che è quello che sta succedendo a me in questi giorni visto che sto lavorando su un saggio storico i cui testi di riferimento risalgono in alcuni casi ai primi del Novecento, in altri all’Ottocento, alcuni c’è anche la possibilità che li abbia vergati Gutenberg di propria mano e poi si sia talmente rotto le palle da decidere di inventare i caratteri a stampa, ci trasformiamo nell’alter ego traduttorio di Temperance Brennan, l’antropologa forense protagonista della serie cult Bones, solo meno fighi e con la ciabatta al posto del tacco a spillo: dissotterriamo cadaveri, portiamo alla luce vicende intricatissime e assurde (testi tradotti rimpastando tra loro versioni successive di memorie deliranti di regine grafomani, traduzioni libere che “’sta pagina la traduco, ‘st’altra la salto, la prefazione la prendo da un altro libro, voglio vede’ se state attenti”), ci perdiamo in un labirinto di carte e rimandi in cui il lume della nostra ragione scompare.
Quindi, direte voi? Cosa dobbiamo fare? Rassegnarci all’entropia dell’universo librario? Chiuderci in uno scantinato di una biblioteca nazionale e gettare via la chiave? Trucidare l’autore che inserisce più di – non so – venti note bibliografiche e banchettare col suo sangue?
La Rete di salvataggio
Quel che è certo è che, oggi, noi traduttori 3.0, che viviamo in Rete e per la Rete, possiamo considerarci fortunati, perché abbiamo dalla nostra parte un alleato prezioso e troppo spesso dato per scontato, in grado di risparmiarci ore, giorni, passati a scartabellare “fisicamente” tra le scartoffie: il Web. In molti casi, tutto quel che ci serve è un mouse veloce e senso dell’orientamento, uniti a uno spirito critico che basti a non farci incappare in disavventure di phishing o simili. Se c’è una cosa che il mio essere una nerdona mi ha insegnato è che, con un po’ di pazienza, in Rete tutto si trova e tutto si può consultare.
Magari non proprio tutto tutto, ve lo concedo: ma facendoci un giro dalle parti dei siti che vi indico qui sotto, le probabilità di non incappare nell’ennesima frustrazione suicida aumentano.
- Google Books e Amazon: sono la mia prima e più immediata risorsa per le ricerche. Molti dei titoli presenti nei loro database sono parzialmente consultabili, e nel caso di Amazon, quando accedete all’estratto del volume che vi interessa, se inserite una chiave (per esempio “Federico di Prussia”) la mascherina di ricerca vi restituisce anche le occorrenze all’interno di pagine non consultabili, con un’anteprima di un paio di righe. Se siete fortunati potreste quindi riuscire a ipotizzare la traduzione corretta (magari perché c’è un termine specifico) e recuperare quel tanto di informazioni che vi basta per compilare la nota.
- Internet Archive: questo sito-miniera è stato segnalato da una collega, Anna Ravano, a una mailing list per addetti ai lavori di cui faccio parte. Visto che, per chi lavora con l’inglese, è uno strumento pressoché irrinunciabile, la mia gratitudine verso di lei non avrà mai fine. Vera e propria “mediateca a Web aperto” Internet Archive promuove da vent’anni il libero accesso alla cultura attraverso la condivisione e consultazione online (basta registrarsi senza obbligo di versare alcun fee né di fornire dati di carta di credito o simili) di milioni di file tra libri, film, musica, immagini, siti, in pratica tutto ciò che sia mai stato digitalizzato e portato in Rete. Per quanto mi riguarda, riserva delle vere e proprie chicche: sono riuscita a trovarci – e ho avuto la possibilità di chiederlo in prestito telematico e di scorrerlo con l’apposito book-reader integrato nella piattaforma – un libro del 1954 altrimenti irreperibile, anche sul sito dell’OPAC. Da aggiungere sicuramente alla Barra dei Preferiti.
- Discorso a parte va fatto per Playster, che si autodefinisce il “Netflix dei libri” (ma non solo: vi si trovano anche musica, videogames, software e chi più ne ha più ne metta). Qui la sottoscrizione è a pagamento (ci sono quattro formule di abbonamento, a seconda della varietà di contenuti e ai media che vi interessano) ma i primi 30 giorni di prova sono gratuiti, e sul lavoro one shot un lasso di tempo del genere è sufficiente per cercare citazioni da tutti i libri che vi pare, e forse per flussi di lavoro continuativi investire circa dieci euro al mese per poter fare ricerche illimitate ha un senso. Unica nota dolente: in italiano è localizzato in maniera veramente indecente (e daje, Playster, te le facevo io le traduzioni, perché ce devi casca’ così?), il che per la maggior parte di noi traduttori pistini può rappresentare un deterrente non da poco a iscriversi.
E per concludere…
Infine, se come me vi siete gettati nel magico mondo della saggistica pronti a giurare che “sempre di traduzione si tratta, che vuoi che cambi?”, vi lascio un consiglio che è anche un auto-ammonimento: armatevi di coraggio, fate un bel respirone e prima di accettare un lavoro riservate qualche energia per contrattare un compenso che tenga conto anche delle future ricerche bibliografiche. Magari non sarà molto (e certo non vi restituirà i pomeriggi persi dietro a un volume fuori catalogo del 1934 tradotto solo in tedesco), ma se non altro, quando guarderete il muro con sguardo vacuo dopo l’ennesima tranche di scavi archeologici in rete, potrete consolarvi pensando che, una volta finito tutto, vi farete un regalo. Magari qualche libro nuovo di zecca? Ottima idea: purché non sia di saggistica, per carità.
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